19 maggio 1991: vinto, visto, vissuto (da casa, quel giorno)


Nostalgia canaglia…sarebbe troppo facile raccontare quella giornata allo stadio, ma tanti come me il biglietto per quel Samp-Lecce proprio non erano riusciti a procurarselo: amici, telefonate, prevendite, Sampdoria Club di mezza Genova. Internet no, allora era roba di nicchia. Comunque niente, la partita l’ho dovuta ascoltare da casa: radio Babboleo, da Genova Mariagrazia Barile come sempre. Ma l’ansia montava da giorni, per tutta la settimana. La domenica prima, trasferta al Delle Alpi e 1-1 col Toro, una delle squadre a noi più ostiche (ci avevano battuto all’andata). Il lunedì, le solite valanghe di fango dei giornaloni milanesi: la Gazzetta dello Sport diede s.v. a tutti e 22 in campo, alludendo neanche troppo velatamente a una combine. Ci furono polemiche (e vorrei vedere), intervenne anche Mantovani a difesa della squadra, della società e soprattutto di quel gruppo. Ma quei 6 giorni prima di Samp-Lecce erano stati soprattutto all’insegna della scaramanzia: la parola scudetto che nessuno di noi pronunciava, dicevamo “quella cosa”; le battute gufe degli amici genoani; il rifiuto di qualunque gesto anche di lontano festaggiamento: si fa festa solo con la matematica. E a proposito di matematica, in quel mese chi scrive preparava uno degli esami più duri del terzo anno alla facoltà di fisica, potete immaginare con che concentrazione. Eppure la logica era dalla nostra: bastava fare gli stessi punti del Milan quella Domenica, e di fronte avevamo il Lecce con un piede e mezzo in B, non il Real Madrid. Eppure…

Arriva, alla fine, quella Domenica: la mattina in giro per il quartiere, la barba di 2 settimane, scaramantica anche quella; perfino il parroco a messa congedò tutti con un augurio di un bel pomeriggio, “Da vincenti e figli di Dio”, o qualcosa del genere, quasi a voler sorridere per tutto un popolo, finalmente vincente.

Pomeriggio davanti ai libri, quegli appunti di fisica che quel giorno non entravano in testa neanche col Black&Decker. Ma non volevo collegarmi da subito alla radio, aspettavo un po’; finchè non entra mia madre nella stanza: “Ha segnato Cerezo!”. Passano 20 minuti e mamma rientra: “Mannini!”. Quel terzinaccio, che io ho sempre amato come gli altri 10 della squadra, quel giorno fece un goal in giravolta da 20 metri su una respinta da calcio d’angolo, roba da fare invidia a Van Basten. 2-0 e lo scudetto in tasca. E lì non ce l’ho fatta più: fanculo gli appunti di fisica e radio stereo su Babboleo. Terzo goal di Vialli a 15 dalla fine, la manopola della radio che gira a cercare tutte le emittenti, Ameri su Radio 1 e tutti gli altri meno noti; voglio farmelo ripetere che abbiamo vinto lo scudetto. Poi il dopo partita sulle TV locali: Primocanale, Telegenova, i salotti di Sirianni dove compare Paolo Borea, un altro grandissimo (e rimpiantissimo) creatore di quella Samp. Le scaramanzie che si sciolgono, le bandiere dappertutto, la sera a De Ferrari con la Fiat Panda, e il ritorno a casa, dopo mezzanotte, col clacson a manetta sotto casa di Fabio, il mio amico genoano. E il giorno dopo in facoltà, con la Gazzetta del Lunedì (non dello sport) e quel “GRAZIE” a nove colonne in prima. E l’esame di fisica che aspettava, e per quel giorno avrebbe continuato ad aspettare.

Ho i brividi anche adesso, davvero. Smetto di scrivere. Certo che le risate, le complicità, gli abbracci di quei giorni sarebbe bello ritrovarli oggi. Ma questa è un’altra storia.

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